Artisti in Piazza 2022
Il mondo che vogliamo
Il mondo che vogliamo
Quando mi sono proposto come fotografo per Artisti in Piazza avevo soltanto un vago presentimento di cosa mi aspettasse, e un’idea ancora più confusa di ciò che volevo fotografare.
Vivo a Pennabilli da meno di un anno e al Festival prima d’ora c’ero stato sì e no un paio di volte, di passaggio, senza macchina fotografica né la pretesa di raccontarlo. Come sarebbe stato viverlo “da dentro” per cinque giorni di fila? Quali aspetti sarebbero emersi della mia nuova casa e cosa avrebbero portato le migliaia di persone in arrivo? E soprattutto, cosa mi avrebbe colpito al punto da provare a farne un racconto fotografico?
Non avevo risposte, né la certezza che le avrei trovate.
Ho passato i primi tre giorni a vagare zaino in spalla sotto un sole cocente, schiacciato dall’ansia di trovare un filo narrativo e dalla calca che di un punto in bianco aveva cambiato volto al paese tranquillo e indolente che conoscevo. L’atmosfera era innegabilmente allegra e contagiosa, tutti sembravano divertirsi ma io brancolavo nella confusione. In tutti i sensi. La sera tardi, scorrendo le immagini sullo schermo del pc, mi sentivo puntualmente deluso dal mio lavoro.
Pochi scatti sembravano capaci di trasmettere emozioni, di riportare a galla ciò che vedevo scorrere intorno a me, ed erano per lo più fotografie di volti. Facce spensierate, sorridenti, felici. Maschere molto diverse da quelle indossate in questi ultimi anni di pandemie, tragedie globali e incessante terrorismo mediatico. E a guardar bene, in quel campionario di espressioni c’era dell’altro oltre all’allegria e alla meraviglia: c’erano l’impegno dello staff, la concentrazione degli artisti, la curiosità e l’attenzione del pubblico, la partecipazione della comunità locale e la scenografia di un paesaggio che accoglieva scene fuori dal tempo, rendendole reali e al tempo stesso ancora più oniriche.
Mi è sembrato che quel clima così particolare nascesse dalle interazioni di tre protagonisti: gli artisti, il pubblico e il luogo. Intrecciando relazioni in modo attivo e giocoso, questi tre elementi creavano gli ingredienti necessari per costruire momenti significativi: le attese, le performance, i momenti di ristoro e di svago, la magia negli occhi dei bambini, la collaborazione tra pubblico e artisti, il continuo dialogo e il coinvolgimento gli uni degli altri in un vorticoso gioco di relazioni umane festose e genuine.
Ho deciso che gli ultimi due giorni li avrei vissuti in piena libertà, lasciandomi contagiare e trasportare dall’energia del Festival, senza cercare chissà che scorci o angolazioni. Semplicemente, mi sarei divertito a fotografare le espressioni che avevo intorno, l’incontro fecondo con l’inatteso e il diverso, l’alternarsi di dinamismo e quiete che sono in fondo la quintessenza della vita in Appennino.
Nelle successive 48 ore mi è passata davanti agli occhi così tanta bellezza da lasciarmi senza fiato. Domenica sera avevo fatto il pieno di emozioni e raccolto quasi duemila scatti. Non so che valore possano avere, ma per me queste fotografie hanno un significato enorme. Sono la prova che i momenti significativi dell’esistenza si costruiscono relazionandosi attivamente con le persone che abbiamo intorno e con i luoghi che ci ospitano. Con libertà e passione, partecipazione e impegno, solidarietà e cura.
Viviamo in un’epoca che ci vuole a tutti i costi gli uni contro gli altri, passivi, sfiduciati e tristi. Eppure c’è ancora spazio per un’idea diversa di presente e di futuro quando, tutti insieme, si collabora per mettere in scena un mondo migliore. Cosa che a Pennabilli accade ogni giorno e si amplifica in occasione del Festival, grazie alla partecipazione di migliaia di persone, quando la speciale alchimia di una piccola comunità diventa un messaggio che può arrivare lontano.
Questo ho visto nei cinque giorni del Festival: ciò che dovrebbero essere le relazioni umane, un gioco di squadra dove si partecipa e si vince tutti.